Da una parte tutto e dall’altra niente

Quando avevo tredici anni una mia amica mi mise in braccio il suo coniglio domestico: un affare caldissimo e lungo quanto lo spazio che andava tra la mia spalla e l’ombelico. Fece in tempo a respirarmi contro il seno solo una decina di secondi prima che lo restituissi di corsa alla padrona.

L’altro giorno ho abbracciato una persona che era, insieme, felice e in preda al panico. Era quello che mi sentivo di fare ma ho anche dovuto farlo per evitare che mi guardasse in faccia. Indossavo una t-shirt sottile di cotone e veniva un calore inumano dalla sua parte, mentre io ero calda il solito. Il suo cuore mi batteva contro lo sterno, picchiava attraverso strati di vestiti contro la mia gabbia toracica, ma ero già lontana anni luce, seduta nell’angolino di un altro sistema solare a riflettere su di me e su tutto il materiale che quella felicità aveva dissotterrato. Questa persona mi ha tenuto stretta per lunghissimi secondi e io pensavo a un coniglio vecchio di quasi vent’anni che mi aveva fatto impressione tenere addosso e a come fosse strano sentire nelle orecchie non il mio flusso sanguigno, ma quello di un altro.

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