Gli auguri del compleanno.

Nel luglio di dieci anni fa io, mia mamma e mia sorella abbiamo fatto una specie di fuga rocambolesca per metterci in salvo. Ci siamo trascinate dietro i borsoni già pronti, pieni di vestiti per le vacanze, e ci siamo chiuse dietro la porta di casa. Non siamo più tornate. La pentola con l’acqua per la pasta bolliva ancora sui fornelli e rimase a bollire chi lo sa per quante ore. Fui io a mettermi al volante e a spingere fin giù l’acceleratore con le infradito ai piedi. Mi ricordo di aver corso follemente tipo Cary Grant ne Il sospetto di Hitchcock ma, in tutta onestà, possiamo dire che Cary Grant stesse effettivamente guidando a folle velocità ne Il sospetto di Hitchcock? Bisogna ammettere che è un poco difficile fare il Nürburgring tra piazza Nazionale e la rampa della tangenziale a Corso Malta, ma ci metterei la mano sul fuoco di aver corso più del vento quel giorno, allora forse è vero che la realtà non è che il nostro paesaggio interiore.

Abbiamo masticato questo episodio per dieci anni.

Non che ogni sera ci sedessimo a tavola e ne discutessimo, eh, ma quella corsa in macchina ha generato tutti i cambiamenti successivi. Il fatto stesso che sedessimo noi tre a quella tavola era diretta conseguenza della corsa in auto. Come fai a ignorarla. È un momento cardine, il Prima e il Dopo anche se sotto forma di un giorno come un altro. Ebbene, io mi ricordo che in macchina ridevamo. Non c’era davvero un cazzo da ridere, il nostro non era un metaforico metterci in salvo: ci stavamo veramente salvando la  pelle e la carne, però una di noi tre fece una battuta su come fossimo brutte tutte sudate, con i vestiti da casa e le infradito ai piedi, e allora scoppiammo a ridere. E, mano a mano che durante questi dieci anni abbiamo masticato quella corsa in macchina, abbiamo riso sempre di più. Gli anni passavano e aggiungevamo particolari divertenti alla corsa in macchina e non solo a quella: anche a tutte le altre corse in macchina che siamo state costrette ad affrontare – metaforiche e non. Questo rimaneggiare il nostro canovaccio drammatico è merito di mia madre. Non ci sono santi. Da quel momento in poi abbiamo avuto a disposizione infinite attitudini per vivere, e per noi tre lei scelse questa: che fossimo quelle che ridevano della vita, della morte, della paura, mentre sperimentavano la vita, la morte e la paura. Non è così scontato. Mi ripeto, credo ci fossero milioni di alternative, però lei ha fatto questa scelta perché è un’ottima persona. Non l’ha fatta perché è una donna o perché è nostra madre – pare che ultimamente le madri siano esseri soprannaturali investiti da grazia divina non appena scoprono di essere incinte – l’ha fatta perché è una persona a posto.

Domani compie settant’anni. È una donna molto divertente – se mi leggete in giro magari lo avrete intuito. Le ho visto tirarsi fuori tanta forza, ma vedo in lei tutte le ansie che ho anche io, più chissà quali altre che non mi dice. Se rispondo al telefono, dall’altra parte mi dicono che ho la sua stessa identica voce, e me ne compiaccio come fosse un merito. Vediamo le serie tv insieme, leggiamo gli stessi libri.  La amo di un amore incalcolabile e di difficile comprensione, al di fuori com’è di ogni motivazione romantica e di sangue. Non la amo in maniera incondizionata, per il fatto che è mia madre e così deve essere e i figli sono i figli e le mamme sono le mamme e la natura ci dice come comportarci – quante stronzate – la amo solo perché se l’è grandemente meritato.

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